Quando parlare in pubblico diventa un problema

Premetto che il breve scritto non fa riferimento a chi in occasione di eventi più o meno pubblici (sebbene con timore e a volte, diciamolo… scocciatura) riesce a sostenere importanti esami, intrattenere platee, partecipare a conferenze di lavoro, quanto piuttosto a coloro per i quali parlare/apparire in pubblico risulta una impresa molto difficile.

Mi sembra importante specificare che chi ha questa preoccupazione può intendere per pubblici anche contesti molti ristretti, tipo cena con parenti, uscita con amici, festa di compleanno. Il disturbo presenta una base fobica e chi ne soffre da, buon fobico, evita accuratamente ogni occasione che possa esporlo/a; quando poi è costretto/a o si procura accidenti psicosomatici vari (febbre, allergia, giramento di testa e nausea) o spesso, al momento clou, si paralizza terrificato dalla sua stessa paura.

Le cose cambiano quando il problema si sposta sul versante ossessivo, in altre parole quando chi, giustamente stanco/a della situazione, tenta soluzioni per risolverla. Gli stratagemmi messi in atto possono essere vari e creativi. Si va dalla costruzione di segreti rituali del tipo “parlo sempre per secondo/faccio finta di non capire e passo il turno, faccio finta di sbadigliare così prendo aria e non mi gira la testa“, all’uso di tranquillanti e sonniferi, sino a loop mentali del tipo studio e ripasso/non riesco a definire/non so cosa dire.

Nella maggior parte dei casi, dato il carico emotivo e l’alto livello di ansia, si giunge al momento della performance insonni, sedati, ipervigilanti e quale che sia la precauzione messa in atto, il risultato sarà spesso prevedibile: al momento di parlare (ma quasi sempre anche prima) si comincia ad avvertire giramento di testa, senso di soffocamento, depersonalizzazione, balbettio, calo della voce, voce stridula, mancanza di fiato.

A quel punto, che se si arrivi alla fine del discorso o si proceda spediti dopo un iniziale stato confusionale, la percezione sarà comunque quella di non aver risolto il problema. Sarebbe interessante approfondire l’evoluzione ossessivo- paranoide del disturbo, di come il paziente inizi a concedere poco o niente a se stesso e gli altri, di come la mente irrigidita tenda (e pretenda) l’assoluta perfezione e di come il più piccolo segno di tentennamento, l’insignificante pausa, l’impercettibile flessione di voce, diventi motivo di condanna verso se stessi e gli altri, ma si dovrebbe affrontare una riflessione ancora diversa rispetto alla precedente.

Per ciò che riguarda invece i casi prima citati, accade ciò che in gergo psicoterapeutico (e non solo) è conosciuta come la profezia che si auto avvera (P. Watzlawick; 1971), cioè quando il tentare/cercare una soluzione non fa altro che anticipare/strutturare il problema.

Per quanto riguarda i possibili rimedi alla paura di parlare in pubblico, io ritengo che una buona psicoterapia possa essere un efficace rimedio per risolvere questa fastidiosa difficoltà e sicuramente costituire una valida alternativa a farmaci e precauzioni varie.

Personalmente io utilizzo la terapia breve strategica e devo dire che si ottengono buoni risultati nell’arco di quattro settimane e un processo di stabilizzazione e nell’arco di sei mesi. A mio parere, la terapia risponde bene a questo tipo di complicazione grazie all’utilizzo di logiche non ordinarie che aderiscono in maniera speculare alla logica di funzionamento del problema e inducono il paziente ad affrontare gli aspetti che teme e ad evitare di mettere in atto precauzioni.

Le tecniche semi ipnotiche di spostamento dell’attenzione, le strategie paradossali quali “come peggiorare”, le ristrutturazioni ed evocazioni, consentono di rimettere la persona in quella posizione che in maniera molto semplificata, possiamo definire del fare senza pensarci.

Non a caso il processo terapeutico giunge a buon fine nel momento in cui la persona mette in atto nuovi comportamenti e solamente dopo nota di esserci riuscita. Generalmente questo momento della terapia coincide con la ri-scoperta da parte del paziente del piacere di comunicare con gli altri e predisporsi all’ascolto senza nuove preoccupazioni.